



Fatti non foste a viver come bruti.
Ho incontrato l’ultimo mastro d’ascia, mutilato e perso lungo la riviera dei ciclopi.
Quei massi a mare scagliati dall’ira del gigante, accecato da colui che voleva varcare le colonne d’Ercole.
E quella pescheria costruita per coprire lo scoglio e la storia, brutta e abbandonata;
occultata alla vista, forse per sempre quell’antica barca di legno, dipinta da un ignoto e geniale artista.
C’è tutta la poesia dell’abbandono ad Aci Trezza, c’è tutto il tormento e la gioia, l’orgoglio dei ricordi più belli, quando il bisnonno del vecchio Rodolico con il suo magico attrezzo modellava e scolpiva il legno del leccio, del gelso e della quercia, per sfidare le onde e incontrarsi con tonni, sparaghi, spada e sardine, con le rosse triglie per il pranzo quotidiano, offerto generosamente ad amici e parenti, consumato prima di essere venduto, quel pesce di giornata che puoi ancora gustare ostinatamente presso la Casa del Nespolo, quella stessa frittura di pesce, che ho gustato in un terrazzino su un traballante tavolo di legno, di fronte al mare, e all’isola nascosta insieme ai rocchi degli scogli a mare.
E quel bambino, che alla mia domanda: “Sei il nipote di Rodolico?”, rispose: “Sono un suo amico!”.
C’è tanta poesia, e tanta amarezza ad Aci Trezza, ma tanta speranza.
Il mito si ripete.
C’è sempre qualcuno che vuole accecare i nostri occhi per oscurare il bello e il buono, e far esplodere in una nuvola di caligine i tesori creati dal genio “dell’homo sapiens”.
Così scende il sipario sulla storia.




“Il mio cantiere Navale di Aci Trezza è il più antico della Sicilia e il Comune vuole chiuderlo nonostante abbia già speso decine di migliaia di euro per metterlo in regola, secondo le normative europee e comunali. La nostra attività continua da oltre 120 anni e rappresenta un importante patrimonio storico, culturale e di valori che si tramandano da generazioni”. A dirlo Salvatore Rodolico, 82 anni, uno degli ultimi ‘mastri’ d’Ascia esistenti sull’isola, nominato da qualche anno anche “tesoro umano vivente” e iscritto nel registro delle eredità immateriali della Regione Siciliana. Nella terra dei ‘Malavoglia’, ha costruito barche in legno di ogni grandezza per pescatori e appassionati, e il suo cantiere possiede attrezzature uniche nel loro genere. Tutt’ attorno decine di barche in legno sulla battigia, un vero colpo d’occhio: decorate da lui, da allievi delle belle arti, e quelle più grandi, anche da noti e ignoti artisti della street art (o meglio, dell’Arte di strada). L’area dove sorge la struttura, è passata però da qualche anno dalla gestione della Capitaneria di porto a quella del comune di Aci Castello (di cui Aci Trezza è una frazione) , e la recente definizione della zona come Sic (Sito d’interesse comunitario), ha peggiorato la situazione, creando diversi intoppi burocratici e impedendo ai Rodolico di proseguire la propria attività. “La mia famiglia – prosegue – svolge questa attività da quattro generazioni, prima mio nonno, poi mio padre, io e ora i miei figli Sebastiano e Giovanni. Tutto questo è testimoniato, tra l’altro, da una fattura datata 1908 di mio nonno, che si riferisce alla costruzione di un’imbarcazione adibita al trasporto di persone sull’isola di Lachea, commissionata dall’Università di Catania. Ho svolto questa professione di ‘mastro d’ascia’ da quando avevo 14 anni, e nel mio cantiere ho costruito, alato e varato imbarcazioni di qualsiasi stazza. Ne ho realizzate di molto grandi per la Sicilia, la Liguria e la Campania, e lavoravano per me fino a 30 operai. Ho anche un attestato rilasciatomi nel 1986 dal Ministero della Marina Mecantile, per essermi particolarmente distinto nell’esercizio della mia attività professionale e sono iscritto all’albo d’oro d’Onore dei maestri d’Ascia. Nonostante questa storia, e malgrado abbia sempre rispettato le regole, negli ultimi anni ci sono stati sconvolgimenti legislativi, che ora minacciano seriamente l’attività di famiglia”. “Per sessant’anni ogni fine stagione ho alato le barche a terra dei pescatori del paese. Si faceva la domanda in Capitaneria e non si pagava la sosta né per le imbarcazioni né per l’attrezzatura per alare le barche, perché era Demanio marittimo. Successivamente l’area dove c’è il capannone e l’attrezzatura di lavoro è diventata comunale, e mi hanno fatto fare di nuovo le pratiche per pagare decine di migliaia di euro di Imu. Non mi hanno tuttavia riferito che anche l’area dove ci sono le barche era diventata comunale. E mi hanno fatto diversi verbali di 7000 euro l’uno. Tra le multe e i lavori di adeguamento ho speso oltre 50 mila euro. Ma prima dell’intervento dell’amministrazione avevo già speso decine di migliaia di euro per mettermi in regola con le ultime leggi europee e comunali. Mi hanno fatto pure comprare un depuratore di 10000 euro perché lavavo le barche con l’idropompa e non doveva cadere l’acqua a terra, e ho fatto costruire dei raccoglitori per l’acqua con le ruote trasportabili in compensato marino costati altri 4000 euro. Dopo che ho speso questa ingente somma, mi hanno detto che le barche a terra ora non le posso più alare, perché è zona Sic, dove non si possono usare resina, vernice e smalto. E io ho speso altri soldi per gli scali d’alaggio, il depuratore e i collaudi all’argano, inutilmente. Ora vogliono chiudere totalmente il cantiere gettando sul lastrico la mia famiglia, abbattendo anche le grandi imbarcazioni dipinte da noti artisti perché definite vetuste. Sono disperato; ho scritto una lettera al sindaco e sono stato sempre disposto a regolarizzare ogni cosa; ma si devono chiarire molte contraddizioni e ci devono permettere di lavorare. Se non verrà impedita la chiusura mi legherò al cantiere”. Sul caso è intervenuto anche il noto pittore Dimitri Salonia, a capo della Scuola coloristica siciliana, che più volte ha cercato di tutelare le tradizioni dell’isola e ha affermato: “Non si può eliminare questo cantiere, anzi, al contrario, questa zona deve diventare patrimonio dell’umanità; inoltre le due imbarcazioni grandi non possono essere distrutte o spostate senza l’assenso degli artisti e senza commettere reato”. “Ciò è possibile – continua Salonia – che è anche avvocato – perché un’eventuale rimozione o una sua dislocazione altrove può alterare l’originale atto creativo, ed intaccare, così, il diritto all’integrità dell’opera. Sulla base di quest’ultimo, infatti, l’autore può opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione, ed a ogni atto a danno dell’opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione ai sensi dell art. 20, legge n.633/41”. D’accordo, anche il critico d’arte Vittorio Sgarbi, che, contattato al telefono assicura “che verrà in Sicilia per occuparsi della questione, perché è un grave errore cancellare un’ importante tradizione culturale; e si impegnerà a valutare le opere d’arte dipinte sulle imbarcazioni, e a chiedere di salvaguardarle”. Gianluca Rossellini