A Cattafi, in provincia di Messina, una pregevole pala d’altare, raffigurante “la Trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor”, è stata realizzata dall’artista Dimitri Salonia nella chiesa Maria Addolorata. I fedeli entusiasticamente ringraziano il parroco, Padre Giuseppe Fanara, per averne preso l’iniziativa. Padre Giuseppe Fanara, Frate Minore Conventuale, promotore di rilevanti manifestazioni d’arte nei passati decenni nella Basilica di San Francesco all’Immacolata di Messina, avvertendo il bisogno di decorare il nudo abside della chiesa di Cattafi affidata alla sua cura, ha chiesto al pittore messinese Dimitri Salonia la realizzazione di una pala d’altare sul tema della Trasfigurazione.
Nel racconto evangelico “la Trasfiguazione” è l’apparizione di Gesù, con Mosè ed Elia, ai discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni sul monte Tabor, in divina bellezza e splendore. Invece nella rappresentazione pittorica “la Trasfigurazione” è idealizzazione e sublimazione della realtà nella creazione artistica. Delfico Melchiorre, filosofo del tardo settecento, si chiedeva se la “Trasfigurazione”di Raffaello e il “Cenacolo” di Leonardo non fossero capolavori del sublime, nella grandezza del pensiero e nella quantità di sensazioni e di rapporti che fanno nascere negli animi dei contemporanei. Evidentemente lo erano!
La scelta dell’artista Dimitri Salonia è stata oculata perché Padre Fanara lo aveva conosciuto profondamente nel periodo in cui, da rettore della Chiesa di San Francesco all’Immacolata di Messina, era impegnato nell’organizzazione delle tante manifestazioni d’arte, di cui è rimasta indelebile traccia nella memoria e nella dinamica evolutiva dei momenti artistico culturali cittadini. Ma anche l’avere dipinto Egli la Sacra Sindone per la chiesa del villaggio San Filippo di Messina ha permesso a Padre Fanara “di entrare nel suo meraviglioso mondo artistico. Un mondo in cui il Salonia sperimentava la sua capacità di provocare un caos di colori; e, come può are un domatore di leoni che con schiocchi di frusta acquieta le belve feroci e le fa accovacciare pacificamente mansuete, Egli con le sue sfrenate pennellate addomesticava i colori con armonia perfetta; o come vulcano in eruzione senza fare crollare case, svegliava le coscienze per fare loro godere visioni di luci colorate che diventavano collirio e balsami per animi stanchi. Si può dire che Egli era, e continua ad esserlo, giocoliere di colori con sfumature magiche di quadri senza cornici, e cioè senza confini, di quadri “liberi” per spiriti “liberi”. Tanto ha voluto confidare ai fedeli Padre Fanara il giorno dell’intronizzazione della “Pala” d’altare.
Come da sua confessione, la pittura di Dimitri Salonia genera dalla macchia. Le macchie?!?! Chiazze di colori forti o intensi, aperte oppure caratterizzate da perimetrazioni e proiezioni appena accennate, picchiettate o sgocciolate sulla tela con controllato abbandono o con ampie zone bianche o coloristicamente affievolite e semanticamente aperte all’appercezione con cui il nostro razionale riesce a fare proprie le rappresentazioni che all’artista urge comunicare. Sentimenti forti e intensi o anche tenui e riposanti, a seconda che il colore si chiude o si espande, appesantendosi o diradandosi sino alla sua quasi rarefazione. La pittura di Dimitri Salonia, così, lascia ampi spazi alla comprensione personalizzata del fenomeno rappresentato.
Per la più compiuta comprensione del concetto di trasfigurazione ci aiuta un suo rapporto con la Sacra Sindone da Lui stesso realizzata per la Chiesa del villaggio San Filippo a Messina. Una tela di lino vecchio, con pittura acrilica, che diventa di colori più accesi nel suo impatto con la luce del sole. Dice L’Artista “Ho studiato la vera Sindone conservata a Torino prendendone in esame le proporzioni per farne una riproduzione perfetta. Fatto lo schizzo, ho affidato tutto ai colori acrilici e l’immagine è venuta fuori. Ma era troppo dipinta e non rendeva l’idea, così l’ho cancellata ed è rimasta solo l’impronta. Miracolo!”. Era questo cui tendeva l’Artista: Corpo e volto del Cristo senza alcuna immagine dipinta o fotograficamente impressa, ma trasfigurata senza connotazioni temporali. E l’autorevole critico d’arte, Luigi Tallarico, ha chiosato: “Quest’immagine sconvolgente ritratto del Cristo e dell’umanità intera, è il volto dei volti fermato nello strazio, nella sofferenza e nella consapevolezza di chi si da completamente, sapendo di non essere compreso. Se la radice dell’Arte è la realtà mutevole dell’eterno divenire delle cose e mai l’indubbia estetica essenzialità materiale; se l’opera d’Arte ambigua ed effimera frantuma e spezza lo scorrere quotidiano dell’oggettiva ovvietà, il Cristo eterno divenire che ha vissuto il reale, ha spezzato il confine tra spirito e materia”. Pepè Spatari