Vittorio Sgarbi

Aria di festa perenne, di  joie de vivr enella pittura di Dimitri Salonia

Una festa che, agli occhi di un contemporaneo, potrebbe rivelare un fondo di ingenuità intellettuale, nel suo ottimismo apparentemente incondizionato, ma che rivela un sentimento sincero della vita, un’adesione al piacere puro dei sensi, con l’arte che si propone di fornirne la massima corrispondenza espressiva. Dal punto di vista artistico, inevitabili i rimandi all’Impressionismo e al Post-Impressionismo. Meglio ancora, a certo Impressionismo e a certo Post-Impressionismo.C’è Monet, c’è soprattutto Rénoir, in particolare nei quadri di gruppo e di figura, con un nudo femminile, due giovani, fresche natiche adolescenziali che emergono dall’oscurità lo associa all’omologo italiano più vicino, ancora legato a un senso classicheggiante del corpo umano, Federico Zandomeneghi. C’è, poi, il Post-Impressionismo di Cézanne, la concezione mentale che progressivamente si sovrappone a quella sensoriale, lo spazio che si sfaccetta e si scompone in unità regolari di piani, forme e colori, tendenzialmente geometrici, anticipando la svolta, tutta cerebrale, del Cubismo. C’è “l’Ecole de Paris” come linguaggio internazionale della modernità, lirico, colorista, popolate, anche se in una dimensione non certo populista, semmai di romanticismo borghesizzato, “disindividualizzato”, di edonismo bozzettistico, neo-pittorialista, a misura di parete domestica. Ma, prima ancora che il riferimento a questo o quell’artista, a questa o quella storia dell’arte, c’è l’adesione spirituale a un’epoca e a una forma mentis sviluppatasi fra gli anni Cinquanta dell’Ottocento e i Trenta del Novecento, con massima corrispondenza nella Parigi della Belle Epoque” che non si considera ancora finita, agli albori della modernità come oggi la intendiamo, cosciente di vivere un’evoluzione senza pari nelle precedenti  vicende dell’umanità. Un’epoca realmente progressista, proiettata al futuro, finalmente emancipata dal riferimento obbligato al passato, convinta di vivere, se non nel migliore dei mondi possibili, in quello che, come nessun altro prima, permetteva di guardare alle cose del mondo in senso positivo .Certo, quell’epoca è finita, e far finta che non sia così vuol dire assumere un atteggiamento nostalgico nei confronti del passato, perfino conservatore, contraddittorio con il progressismo che quell’epoca esprimeva .In realtà, si tratta di una visione metastorica, estrapolata dal contesto geografico, temporale e culturale in cui essa è stata prodotta, per venire assunta come valore universale, capace di conservare un significato importante anche nell’attualità.Eccolo, il significato: se si guarda alla vita in un certo modo, con l’entusiasmo, la positività con cui la poteva vedere un Caillebotte o un Rénoir giovanile, se si conserva la freschezza dell’animo, infantile, se si identifica il piacere della pittura nell’emozione della percezione del mondo, comune per tutti, di ogni età, di ogni formazione culturale, di ogni parte del mondo, allora l’arte può essere ancora fatta in un certo modo, come se niente fosse cambiato.Ecco perché, per Dimitri Salonia, la Belle Epoque non è mai finita. Sta ancora dentro di noi, se solo lo vogliamo