Benvenuti in questo luogo che ho immaginato come lo scrigno che contiene l’esplosione del colore dei miei pensieri. Questo blog – così come la monografia che mi riguarda – contiene una raccolta di pensieri, di eventi accaduti e dimenticati;ma soprattutto, di fatti che non si devono raccontare, per pudore o per convenienza…
Dimitri Salonia
Sono convinto che il colore sia la
sostanza, la radice, il substrato
della vita, credo di poter trasmettere
ad altre persone il senso, il
gusto, l’estetica della macchia,
dei contorni non definiti, dei corpi
in movimento.
Credendo che tutti siamo artisti, specialmente
i bambini, che mantengono pura
e inalterata la loro innata espressività,
non avendo ricevuto insegnamenti pittorici
e pesanti influenze esterne e poiché,
in diverse occasioni, invitando il pubblico
a partecipare all’esecuzione di dipinti,
ha scoperto che i più bravi, i più veri,
spontanei e sinceri erano coloro, che
non avevano mai toccato un pennello,
pago della sua autonomia pittorica,
decide che la scuola debba promuove
la libertà di espressione.
Coinvolge per primi i suoi famigliari, il
suo prossimo più prossimo.
Erika, sua figlia, assorbe in modo eccellente
la lezione, ma la scuola tradizionale
l’ha imbrigliata a tal punto che, sentendosi
privata della sua indipendenza
creativa, decide di non dipingere più. Il
figlio Eros, valente e precoce poeta, non
si mette in gioco, nonostante la predisposizione
alla stesura dei colori: per
sua natura non tollera che si pensi che
imiti il padre. L’altra figlia, Angela,
dipinge con entusiasmo e buoni esiti:
oggi è con Felice Ruggeri, discepolo
della scuola e sempre vicino nei
momenti di sconforto creativo, un valido
aiuto nelle performance. Nomi già noti
quali Coletta, Samperi, Mantilla,
Minissale, pur avendo un grosso bagaglio
artistico, maturano un percorso
comune all’interno della scuola.
L’insegnamento si basa su un denominatore
comune: partire da fondi scuri,
per giungere con pennellate di luce e
tinte violente a un’esplosione di colori,
omaggio primo alla mediterranea passionalità
siciliana.
L’arte è l’espressione della gioia
di vivere: la libidine del colore.
Con Loredana
La mia vita e la mia monografia
Questa monografia vuole essere piuttosto una “biografia”, che racconta eventi accaduti e dimenticati; ma soprattutto i fatti che non si devono raccontare, per pudore o per convenienza: l’incontro di Natale a Fondachelli Fantina, la mostra a Milazzo o a Patti, o in un paesino sperduto della Sicilia; il concerto-spettacolo di Taormina, il girotondo nella Fiera di Messina, il caos coloristico di Villacidro; il ritratto di un “carabiniere baffuto” intravisto al tribunale o piuttosto il ritratto di Angela; la copia del Barboglitta “De Laudibus Messanae”, o la copia della Sacra Sindone, che Padre Bontempo porta in processione ogni Venerdì Santo. E vorrei raccontare tanti altri fatti “insignificanti”: La mareggiata di Spadafora sul muro del Municipio, dietro il castello. Il dipinto murale nella scuola elementare del villaggio di Villa Lina, con l’aiuto degli scolari. L’incontro nella casa di Antonio Pandolfo a Corriolo, con gli amici del “gruppo 90”. La mostra nello studio dell’Avvocato Arena, e il ritratto di Vichy, con parmigiano e champagne. Prima di concludere la mia comparsa sulla terra….Il dipinto con le mani eseguito nello studio dell’Avvocato Orlando. Il ritratto di Angelo Acerra, eseguito con le mani e… con i piedi, nel corso di una partita di poker. Il rischio è quello di presentare ai collezionisti un artista provinciale, che visse e operò in un ambiente provinciale…, come Salemi, piccolo paesino della Sicilia, pur scelto da Vittorio Sgarbi come regno delle sue grandi aspirazioni estetiche, dopo aver scartato Milano, una squallida realtà economica, “dove la gente suole passare distratta e sa leggere solo i prezzi e non i valori”. Preferisco essere povero e schiavo, come lo schiavo greco, che insegnava agli imperatori sanguinari e spietati la filosofia e… l’umiltà.“Tri sunnu li putenti, ‘u Re, ‘u Papa e ‘cu non ‘avi nenti”. Io voglio morire povero, in un giaciglio di sterpi, in una grotta infestata dai ratti e sconvolta dalle mareggiate. E non voglio lasciare agli eredi ricchezze d’oro, di gemme e d’argenti, ma solo un ricordo di me che sia sottoscritto dal desiderio di recuperare e conservare ciò che non vale niente (nella nostra economia industriale e guerrafondaia). Un albero secolare, una tegola rotta, una trave di legno tarlato, il frammento di un’anfora greca o romana… una melodia Pucciniana, cantata da una donna che piange…, innamorata solo di te.Una poesia offerta a Mattia, che ha indotto Sgarbi a dedicare un suo libro “a Dimitri che non è lontano dalla Sicilia”; a Teresa, che ha raffigurato e… trasfigurato i miei impossibili arcobaleni; a Giammoro o…alla mamma; un pensiero, un quadro, dedicati agli emarginati e agli extracomunitari, uccisi dalle nuove leggi razziali, ai…poeti veri, poveri e disperati, a tutti i diversi, per scelte ambigue, religiose o sacrali…a quello sciagurato di Placido Biasini!!! Ai cani fedeli, come agli avvoltoi; la fede di Peppino, o la devozione di Carmelo, la gratitudine di Antonio Pio e Diego Pace; a quell’innominato figlio di buttana, a quel genio di Enzo Velotto, ma soprattutto a Giovanni Tomasello, che nega il pane ai suoi figli, per regalare diamanti. Il ricordo di una donna innamorata e persa, alcolizzata e drogata da inutili illusioni, di un amico che piange, o ride con te, l’impronta della mia anima su un quadro di Felice; il catamarano,in alto mare, in un giorno di tempesta; le trasparenze e le farfalle di Lidia e Loredana, impudiche ed effimere; e la piccola Laura, che firmava i miei quadri più belli, perché dipinti insieme, in una giornata d’inverno. Le sinfonie cromatiche, i concerti incompiuti di Antonio Donato, per vincere i suoi traumi. Le moltiplicazioni dei pani e dei pesci, o piuttosto dei miei quadri, per acquistare i libri universitari. Voglio trascrivere soprattutto le presentazioni critiche di Nino Ferraù, Pepè Spatari e Ninì Bambara, che amarono lamia pittura più di ogni altra cosa, ma anche le fotografie di Giovanni Lo Turco, che aveva copiato i miei quadri, i miei mercati, già prima di conoscermi; un pensiero di Erika scritto su un foglio di quaderno, un segno che resta, come i suoi dipinti di bimba:“a papà, spirito libero…che la scintilla divina illumini ogni tuo respiro!”. Un quadro dipinto diversi anni fa sul muro lesionato della casa di Salvatore La Malfa, nell’isola di Salina; ora è una parete in rovina, che non può più sostenere la casa, ma l’Avvocato La Malfa conserverà per sempre insieme al muro pericolante della villa, mai ristrutturata, la mia opera. Un ricordo, un messaggio, un esempio per coloro che continuano a distruggere le tracce di u passato illustre,… ed hanno imbiancato la Cappella Sistina per “ripulirla” dalle tracce del passato e dalle trasparenze dipinte a secco da Michelangelo.
Per motivi legati all’arte sacra, Dimitri è stato ricevuto in udienza speciale da Papa Wojtyla nel 1980 e nel corso degli anni ha partecipato a progetti e prodotto opere di grande importanza religiosa, arricchendo il suo bagaglio artistico e di vita. Realizza pale e tavole per numerosi altari maggiori ed espone presso innumerevoli Chiese e Basiliche in mostre personali e collettive. Nel 1982 è tra gli ottanta acquarellisti italiani e stranieri che interpretano il tema “Francesco e il Cantico delle Creature” presso la Chiesa di San Francesco all’Immacolata di Messina in una mostra che diventerà itinerante e che nel 1993 arricchirà la Rassegna Internazionale d’Arte Sacra di Cascia (Rieti). . Nel suo bisogno di sacro, di eterno, Dimitri riconosce la necessità della sofferenza quale giusto fio per l’amore incondizionato e sconfinato che Dio ci elargisce, come madre amorevole che allatta al seno il suo piccolo, e questo gli permette di capire come il Santo poverello abbia abbracciato tutte le proprie sofferenze e il progetto divino che tutto quel patire ha permesso…ma è… …la fanciullesca gioia per la ricchezza, che gli permette di soddisfare ogni desiderio, l’ingenuo candore di vestire l’armatura e partire per la guerra come un Francesco folle di Dio.
LE OPERE DI SALONIA SU SAN FRANCESCO
La mancanza della percezione della paura della morte corporale, che pone Francesco tra i prediletti e quando Dio si avvede di questo suo figlio, eterno fanciullo, lo richiama a piaceri diversi e Francesco si avvicina con egual gioia alla povertà perché è ricco, si avvicina alla malattia perché è sano: ricco nel cuore e sano nell’anima; e non per somigliare o imitare Gesù, ma per essere come Lui ci vuole: tutti bambini, curiosi di ogni cosa, sorpresi per ogni cosa, capaci di rapportarci con ogni cosa. Così, per rispondere all’unico comandamento che Gesù ha lasciato, per Francesco tutti sono fratelli e sorelle, dal sole al lupo, dalla luna al lebbroso, dall’acqua al povero: creato e creature, tutti figli dell’Amore universale. Francesco non anela il cielo, come premio, ma come desiderio di perfetta conoscenza del suo unico Amore. Francesco ama la sofferenza e la miseria. La sua vita non è un inutile rinnegare il suo passato di figlio ricco e spensierato, ma la ricerca continua di un volto che sa Amico e che ritrova in ogni piaga di un lebbroso, in ogni lacrima di Sofferenza. Francesco è pazzo d’amore per il suo Dio che lo onora delle stimmate e il Santo s’inebria dell’odore di quel sangue puro come quello del Cristo: Il Signore mi ha rivelato essere suo Volere che io fossi un pazzo nel mondo. (Leggenda Perugina)
Come ricorda Padre Giuseppe Fanara: “Francesco d’Assisi è un uomo che, avendo fatto una corsa per l’ultimo posto, dove non ci sono né poltrone, né sedie, né molti concorrenti, ma solo la nuda terra, da molti fu detto pazzo”. La sua follia fu amare perdutamente quel Dio che si fece Carne, per salvare gli uomini, quel Gesù che lasciò il cielo per una grotta, quel Cristo che s’immolò sulla croce per adempiere il volere del Padre, quell’Uomo che ha lasciato un comando d’Amore per tutti i suoi fratelli e per questo Amore, Francesco è sceso all’ultimo posto nel mondo, tra gli umili e i derelitti per cercare e trovare Gesù, e Dio Padre lo ha voluto vicino a Sé e a Suo Figlio nella sua Gloria e nella sua Luce.
Per la vita che ha vissuto, Francesco ha conservato nei secoli tra gli uomini quella freschezza d’intenti, quella gioia d’amare, quella voglia di offrirsi e darsi che sono per tutti noi sagge risposte di vita.ambino che gioca con i suoi soldatini di stagno, la mancanza della percezione della paura della morte corporale, che pone Francesco tra i prediletti e quando Dio si avvede di questo suo figlio, eterno fanciullo, lo richiama a piaceri diversi e Francesco si avvicina con egual gioia alla povertà perché è ricco, si avvicina alla malattia perché è sano: ricco nel cuore e sano nell’anima; e non per somigliare o imitare Gesù, ma per essere come Lui ci vuole: tutti bambini, curiosi di ogni cosa, sorpresi per ogni cosa, capaci di rapportarci con ogni cosa. Così, per rispondere all’unico comandamento che Gesù ha lasciato, per Francesco tutti sono fratelli e sorelle, dal sole al lupo, dalla luna al lebbroso, dall’acqua al povero: creato e creature, tutti figli dell’Amore universale.
Francesco non anela il cielo, come premio, ma come desiderio di perfetta conoscenza del suo unico Amore.
Una vita illuminata
Il 4 ottobre 1989, per i festeggiamenti francescani, nella Chiesa di San Francesco all’Immacolata di Messina, si tiene una mostra sulla vita del Santo: la rappresentazione, momento di vera e viva Carità, turba e seduce visitatori e fedeli. Le quattordici tavole approntate da Dimitri Salonia sviluppano, nella quantità di colore utilizzato, una sorta di sana e lucida follia che si sprigiona dalla figura di Francesco: la forza che scaturisce è quella Francesco parla ai lupi della luce, la Luce che accompagna la vita del Santo, la Luce che dà sapore, calore e colore all’esistenza, la Luce che trasfigura la realtà in sogno. La partecipazione di padre Pasquale Magro teologo, professore dell’arte e direttore del Museo-Tesoro della Basilica di San Francesco in Assisi, alla manifestazione è risultata provvidenziale, infatti i suoi commenti sono stati inseriti in un fortunatissimo progetto editoriale dal titolo “Francesco folle di Dio”, insieme ai pastelli di Dimitri, che lo stimato francescano ha giudicato intellettualmente e spiritualmente ricchi.