L’artista
Vittorio Sgarbi: “Aria di festa perenne, di gioia di vivere nella pittura di Dimitri Salonia . Una festa che, agli occhi di un contemporaneo, potrebbe rivelarsi un fondo di ingenuità intellettuale, nel suo ottimismo apparentemente incondizionato, ma che rivela invece, un sentimento sincero della vita, un’adesione al piacere “
Sull’opera di Dimitri, il famoso critico tedesco Hans Theodor Fleming si è così espresso: La pennellata è spontanea. Le sue rappresentazioni non partono, dunque, da schemi precostituiti. Usa sempre sfondi neri dai quali i colori Paesaggio risaltano con particolare intensità, comeil rosso che è sempre presente e predomina, e che è, per l’artista, simbolo di violenza ma anche di sensualità. In senso stilistico la pittura di Dimitri Salonia si muove su una linea che scorre tra realtà e astrazione. Il motivo dell’impressione, inizialmente realista, si sviluppa e si modifica, diventando via via sempre più astratto, fino a quando quella realtà non si converte in puro colore e movimento, per farsi concetto. Nella sua pittura riscontriamo gli effetti dei macchiaioli italiani nel periodo di massima intensità del movimento, come pure influssi dell’Espressionismo e del Futurismo, e anche tendenze dell’art informal e action painting, effetti, che appaiono assorbiti e rielaborati in modo strettamente personale.
Testo di Dimitri Salonia, Valle di Muria, Salina e la mia installazione Scriveva Mimmo Lazzaro, magistrato e musicista, appassionato asceta nel suo libro di poesie illustrato da Dimitri Salonia “Valle di Muria, pista di pirati” riferendosi ai luoghi della memoria dell’amata isola di Lipari, uno squarcio tra le sciare laviche ch “epicamente rossastre si avventurano precipiti al Tirreno a riprendersi quasi i Faraglioni sfuggitigli dal grembo, con doglie apocalittiche”. Quelle stesse sciare laviche che hanno scavato nel tufo le grotte della memoria , nelle quali eroici pescatori si illudevano di proteggere le loro barche dalla violenza delle mareggiate invernali. Adesso quell’antica e sublime barca di legno scavata in un albero di Eucaliptus, tagliato dalla furia delle regole sulle distanze stradali, giace serena e definitivamente protetta dentro le contorte ferraglie del cancello di chiusura della bocca della caverna. Tuttavia il vero protagonista e il tema principale dell’installazione è sempre lo splendido paesaggio di Pollara con i suoi colori: il giallo ‘sporco’ del friabile tufo, inconsistente e precario, ma tanto morbido e docile allo scalpello del tempo, del vento e della pioggia, (e anche alla violenza dell’uomo); il verde della macchia mediterranea e del mare nelle rare giornate di calma; il bruno e il grigio della roccia e della pietra, in precipiti e ripidi declivi; il rosso del tramonto, dall’antico semaforo di avvistamento in tempi di guerra; l’azzurro del cielo nelle belle giornate d’inverno; il bianco delle facciate di calce viva sempre più rare, sempre più colorate e lisce, sempre più spigolose; il nero degli umori e della solitudine. Tutto questo in un unico vortice dell’antico vulcano, tramortito e scaricato a mare da un terribile maremoto. Sopravvissuto un solo scoglio a mare, colonizzato da preistorici rettili, e contaminato d’estate da bianche barche di vetroresina, adagiate su solidi giacigli d’acqua. Questo paradiso terrestre, questi giardini dell’eden rubati agli dei, sono il teatro e il palcoscenico naturale di eventi che uniscono e separano la tante vite vissute e passate da queste tufi, tra queste pietre di antica memoria tracciando e percorrendo sentieri in salita, precari e traballanti sostegni di passeggiate notturne, rischiarate da un’ enorme luna piena, che si nasconde dietro la bocca del vulcano, e da stelle splendenti tanto chiare alle stelle.










































































































